Moltitudine e Libertà

Le origini della modernità europea.

Casella di testo: Tutto ha avuto inizio con una rivoluzione.
In Europa, tra il tredicesimo e il diciassettesimo secolo, accadde qualcosa di straordinario che attraversò le distanze che potevano essere percorse solo dai mercanti e dagli eserciti e che, in seguito, furono collegate con l'invenzione della stampa. 
Gli esseri umani si autoproclamarono padroni delle loro vite: produttori di città e di storia e inventori di paradisi.
Erano gli eredi di una coscienza dualista, di una visione gerarchica della società e di un'idea metafisica della scienza; ma trasmisero alle generazioni successive una cognizione sperimentale della scienza, una concezione costituente della storia e della vita associata, e pensarono l'essere come il piano immanente della conoscenza e dell'azione.
 Il pensiero di questo primo periodo dell'età moderna, sorto simultaneamente nella politica, nella scienza, nell'arte, nella filosofia e nella teologia, esprimeva la radicalità delle forze in azione nella modernità.
Le origini della modernità europea vengono spesso rappresentate nella loro derivazione da un processo di secolarizzazione che rifiutava la trascendenza dell'autorità divina sulle cose del mondo. Questo elemento è senza dubbio importante ma, per la nostra impostazione, risulta solo un sintomo della prima manifestazione della modernità: l'affermazione del potere di "questo" mondo, la scoperta del piano di immanenza.
«Omne ens habet aliquod esse proprium», ogni ente possiede un'essenza singolare. 
L'affermazione di Duns Scoto sovverte la concezione medievale dell'essere come oggetto di una predicazione analogica e dualistica - dell'essere che ha un piede in questo mondo e l'altro in una dimensione trascendente. 
All'inizio del quattordicesimo secolo, nel mezzo delle convulsioni del tardo Medioevo, Duns Scoto si rivolge ai suoi contemporanei e afferma che la confusione e la decadenza dei tempi possono essere sanate riportando il pensiero alla singolarità dell'essere. Questa singolarità non è né effimera né accidentale, bensì ontologica.
La forza di questa affermazione e gli effetti che produsse sulla coscienza della sua epoca sono espressi dalla risposta di Dante Alighieri, formulata a migliaia di miglia di distanza da Duns Scoto. La potenza della singolarità consiste in ciò, scrive Dante, che essa porta «totam potentiam intellectus possibilis», essa cioè porta tutta la potenza dell'intelletto possibile, ad attualizzarsi.
Sulla scena della nascita della modernità europea, l'umanità scoprì il suo potere sul mondo e integrò questa dignità in una nuova coscienza della ragione e delle sue potenzialità.
Nel quindicesimo secolo, numerosi pensatori ribadirono la coerenza e l'originalità rivoluzionaria di questa nuova conoscenza ontologica caratterizzata dall'immanenza. Ci limitiamo a citare tre voci autorevoli.
In primo luogo, Nicola Cusano: «La speculazione è il movimento dell'intelletto dal "quia est" al "quid est"; e, dato che il "quid est" è infinitamente distante dal "quia est", questo movimento non avrà mai fine. E' un movimento assai piacevole, in quanto è la vita stessa dell'intelletto. Da ciò, questo movimento trae il suo soddisfacimento; il suo esercizio, infatti, non genera fatica, ma luce e calore».
Quindi Pico della Mirandola: «Quando pensate Dio come un essere che vive e che conosce, dovete innanzi tutto assicurarvi di concepire questa vita e questa conoscenza che abbracci in modo perfetto tutte le cose, e a ciò aggiungete il fatto che il conoscente le conosce tutte in se stesso, senza bisogno di uscire da sé per cercarle - cosa che lo renderebbe imperfetto». Pico della Mirandola, invece di concepire Dio come un essere distante e trascendente, trasforma la mente umana in una divina macchina di conoscenza.
Infine Charles de Bouvelle (Bovillus): «Colui che per natura era soltanto uomo ["homo"], a causa del fecondissimo contributo dell'arte, si dice uomo raddoppiato e cioè Uomo-Uomo ["homohomo"]». Con la potenza delle arti e delle sue pratiche, l'umanità si arricchisce e si sdoppia, e cioè si eleva a una potenza superiore: "homohomo", l'umanità al quadrato.
Alle origini della modernità, l'asse della conoscenza passò dal piano della trascendenza a quello dell'immanenza e, di conseguenza, la conoscenza stessa divenne un fare, una pratica che trasforma la natura. 
Sir Francis Bacon immaginò un mondo in cui: «Ciò che è stato scoperto dalle arti e dalla scienza oggi può essere organizzato dagli usi, dalla meditazione, dall'osservazione e dall'argomentazione [...] è infatti un bene affrontare le realtà più remote e i più occulti segreti della natura mediante l'uso più proficuo e la più perfezionata tecnica del pensiero e dell'intelletto».
In questo movimento Galileo Galilei sostiene (e ciò concluderà il nostro itinerario "de dignitate hominis") che abbiamo la possibilità di eguagliare la conoscenza divina:
 «Pigliando l'intendere "intensive", in quanto tal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, dice che l'intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quanta se n'abbia la stessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l'aritmetica, delle quali l'intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall'intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva».
Ciò che appare rivoluzionario in questa serie di posizioni filosofiche che vanno dal tredicesimo al diciassettesimo secolo, è che i poteri della creazione, che erano stati in precedenza riservati esclusivamente al cielo, vengono riportati sulla terra. Questa è la scoperta della pienezza del piano di immanenza.
In questa prima fase della modernità, come nella filosofia e nella scienza, anche nella politica l'umanità si riprende ciò di cui era stata espropriata dalla trascendenza medievale.
Nello spazio di tre o quattro secoli il processo di rifondazione dell'autorità sulla base della natura universale dell'uomo e tramite l'azione di una moltitudine di singolarità fu portato a termine con grande energia in mezzo a tragedie spaventose e con conquiste eroiche.
Guglielmo di Ockham sostenne che la Chiesa è costituita dalla moltitudine dei fedeli: «Ecclesia est moltitudo fidelium». La Chiesa non è superiore e distinta dalla comunità dei cristiani, ma è immanente a questa stessa comunità.
Marsilio da Padova applicò la medesima definizione alla repubblica: il potere della repubblica e delle sue leggi non derivano da principi superiori, ma dall'assemblea dei cittadini.
Una nuova cognizione del potere e una nuova concezione della liberazione furono messe in moto: da Dante e dall'apologia tardomedievale dell'«intelletto possibile» a Tommaso Moro e alla valorizzazione dell'«immenso e inesplicabile potere» della vita naturale e del lavoro come fondamento degli ordinamenti politici; dalla democrazia delle sette protestanti a Spinoza, con la sua nozione dell'assolutezza della democrazia.
In effetti, quando si arriva a Spinoza, l'orizzonte dell'immanenza e l'orizzonte dell'ordine politico democratico coincidono perfettamente. Sul piano di immanenza si attuano i poteri della singolarità e la verità della nuova umanità si determina in senso storico, tecnico e politico. E dato che non vi è più alcuna mediazione esterna, il singolare viene rappresentato come moltitudine.
L'inizio della modernità è stato rivoluzionario e ha destabilizzato l'antico ordine. La costituzione della modernità non è il frutto di una teoria isolata, ma di una serie di eventi teorici indissolubilmente legati alle trasformazioni delle pratiche e della realtà. I corpi e i cervelli ne furono fondamentalmente trasformati. Questo processo storico di soggettivazione è stato rivoluzionario nel senso che ha determinato un irreversibile cambiamento paradigmatico nel modo di vivere della moltitudine.
Potenza contro potere - Libertà contro comando - Valore d'uso contro valore di scambio