Moltitudine e Libertà

L’appropriazione del comune.

Casella di testo: Il privato, il pubblico, il comune.

“Gli economisti ed i politici riconoscono solo il pubblico ed il privato, il primo posseduti dallo Stato, il secondo dai capitalisti, come se il comune non esistesse.

Gli economisti riconoscono il comune ma solo al di fuori dei rapporti economici, e cioè come  economia esterna o più modernamente come esternalità (…) Per comprendere la produzione biopolitica occorre rovesciare questa prospettiva e dunque internalizzare le esternalità e porre il comune al centro dell’economia.

All’inizio del XX secolo, Alfred Marshall usa l’espressione economia esterna per indicare l’attività economica che si svolge al di fuori delle aziende, ad esempio i saperi e le professioni che si sono fortemente sviluppati nelle aree industriali.
(…)
Le economie esterne, secondo alcuni economisti, sono dei mercati mancati o de sintomi di mercati falliti. (….)
I dibattiti intorno ai diritti di proprietà intellettuale non potevano evitare di focalizzarsi sul comune e sulle sue interazioni con il pubblico.  

La risorsa più importante che occorre governare in quanto beni comuni universalmente accessibili – scrive Yochai Benkler – senza i quali l’umanità non potrebbe essere concepita, è l’insieme del sapere e della cultura sviluppatasi prima del XX secolo, gran parte della conoscenza scientifica della prima parte del Novecento, e larga parte della scienza e della ricerca contemporanea. 

Il sapere e la cultura che abbiamo ereditato dal passato è irriducibile e spesso contrasta sia con il privato che con il pubblico

Il conflitto tra il comune e la proprietà privata è un tema su cui si è mobilitato un grande interesse: le patenti ed i copyright, e cioè i vincoli giuridici con cui la conoscenza è convertita in proprietà privata hanno svolto un ruolo di grande rilievo. (…)

L’accesso al comune – saperi comuni, codici in comune, circuiti comunicativi costruiti e implementati in comune – è essenziale per la crescita e per la creatività. La privatizzazione del sapere e dei codici mediante i diritti di proprietà intellettuale (…) stronca la produzione e l’innovazione distruggendo la libertà di accesso al comune. (…)

Mettendosi dal punto di vista del comune, le rappresentazioni convenzionali della libertà economica risultano completamente rovesciate. Secondo queste rappresentazioni la proprietà privata è la condizione della libertà (così com’è la condizione dell’efficienza, della disciplina e dell’innovazione) e si oppone al controllo da parte della sfera pubblica.

E’ invece il comune la condizione della libertà e dell’innovazione – libero accesso, libero uso, libera espressione, libere interazioni – che si oppone al controllo privato, e cioè al controllo esercitato dalla proprietà privata, dalle sue strutture giuridiche e dalle forze di mercato.

In questo mondo la libertà può significare soltanto libertà del comune.”
Casella di testo: Il plusvalore nella produzione biopolitica: l’appropriazione immediata del comune.


Prima dell’era industriale i  fisiocratici, nella loro Tableau économique, ponevano la terra come la fonte del valore. Nell’agricoltura  la crescita del prodotto, del raccolto, subito appariscente, faceva apparire la terra come la fonte della ricchezza e del nuovo valore.

Nell’analisi di Marx la fonte del valore nella produzione capitalistica è il lavoro, è il lavoro che produce il valore, sia nell’agricoltura come nell’industria, ed il plusvalore viene estratto sotto forma di profitto. La forza lavoro del salariato venduta ed oggettivata nel prodotto realizza un valore  superiore al suo costo.
Inoltre il sistema non è stabile come nei fisiocratici, ma ha un andamento ciclico, con espansioni e crisi, e necessita continuamente di nuovi mercati  e materie prime.

L’odierna tendenza alla produzione immateriale, biopolitica, pone problemi nell’individuazione di grandezze di riferimento.

Innanzitutto è cambiato l’assetto produttivo tipico della fabbrica: il capitale necessita della forza lavoro biopolitica, per valorizzarsi e generare plusvalore, mentre la forza lavoro è sempre più distaccata dal capitale e dal suo comando diretto che organizzava la produzione e la cooperazione.

“…il lavoro biopolitico tende ad accedere direttamente al comune e possiede orientativamente le condizioni per creare la cooperazione al suo interno.”

“Nonostante le tavole delle dottrine economiche abbiano generalmente a che fare con delle quantità, il sociale , il comune, insieme a tutti i beni della produzione biopolitica, sfidano ed eccedono le misure.”

E’ il caso della produzione della soggettività che in quanto valore d’uso ha la caratteristica di poter produrre a sua volta autonomamente, ma che in quanto valore di scambio ha la caratteristica di non poter essere individuato in base ad un’unità di misura.

Marx per analizzare il profitto divideva la giornata lavorativa dell’operaio in due parti: lavoro necessario e pluslavoro. Il lavoro necessario era il tempo necessario per produrre il salario, il pluslavoro invece il tempo di lavoro eccedente durante il quale si produce il profitto appropriato dal capitalista.

“Nel contesto biopolitico il lavoro necessario deve essere come il lavoro che produce il comune, dal momento che il comune incorpora ciò che è necessario alla riproduzione sociale.”

Ossia la produzione biopolitica, immateriale, produce soggetti, socialità, il comune, e quindi il lavoro necessario ed il pluslavoro sono incorporati nel sociale, nel comune.

Nell’epoca industriale i conflitti di classe si sviluppavano intorno alla  determinazione delle quantità di salario e profitto, lavoro necessario e pluslavoro.

Nell’epoca postmoderna i conflitti investono invece il comune, i lavoratori biopolitici si oppongono all’appropriazione del comune da parte dei capitalisti.

La contraddizione fondamentale che Marx aveva individuato nell’economia capitalistica dell’epoca industriale, nella produzione delle merci, consisteva nell’aspetto sociale della produzione e nell’aspetto individuale dell’appropriazione dei frutti della produzione.

Nella produzione biopolitica tale contraddizione è ancora maggiore: la produzione biopoitica dei lavoratori  produce direttamente il comune, il sociale, le idee, il linguaggio, la soggettività. In questo stadio il capitale appropriandosi del plusvalore, del profitto, si appropria immediatamente e direttamente del comune, del sociale.
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