Moltitudine e Libertà

Il neoliberismo.

Casella di testo: Contraddizioni del neoliberismo.

Le lotte politiche degli anni Sessanta e Settanta hanno messo in crisi gli assetti economici e produttivi fordisti e keynesiani facendo spostare la tendenza produttiva dalla fabbrica alla sfera biopolitica.

Le forme di lavoro biopolitico, ossia intellettuale ed affettivo, di produzione della vita sociale, pertanto non possono essere controllate dal sistema disciplinare collegato al vecchio sistema organizzativo della fabbrica o dello stato keynesiano.
Il tentativo di gestire il trapasso a questa nuova forma produttiva  è stato fatto all’insegna dell’unilateralismo politico e militare statunitense e all’insegna del neoliberismo.
Nell’arco di circa dieci anni l’unilateralismo statunitense è fallito ed il neoliberismo ha mostrato i suoi limiti.

Il neoliberismo non ha creato ricchezza come sistema produttivo in quanto ha prevalentemente ridistribuito una ricchezza esistente ed attuato il saccheggio e l’appropriazione di beni comuni. 
Esso ha infatti realizzato un inasprimento dei diritti della proprietà privata, l’annullamento di molti diritti dei lavoratori, la privatizzazione di beni comuni e pubblici esistenti.

“La conquista più importante della neoliberizzazione è stata quella di distribuire, più che generare la ricchezza. Il neoliberismo è fondamentalmente un progetto di restaurazione del potere di classe” (David Harvey)

Sotto i regimi neoliberisti i ricchi sono diventati più ricchi, i poveri più poveri.

I processi estrattivi delle materie prime sono i settori caratteristici del neoliberismo.

“La ricchezza che era stata materializzata nella proprietà pubblica, nelle industrie e nelle istituzioni, è stata trasferita nelle mani dei privati. Se ricordiamo che l’essenza del modo capitalistico di produzione è che esso deve produrre ricchezza, questa è per l’appunto la ragione della debolezza del neoliberismo (…) La crisi del neoliberismo (…) è dovuta all’incapacità di concepire ed applicare schemi esecutivi per stimolare ed organizzare la produzione. Nessuna strategia capitalistica può tirare avanti senza questa capacità”.

Nell’economia fordista la conoscenza era esterna al lavoratore ed impiegata nella fabbrica come sistema di organizzazione produttivo e di comando.
Nell’economia postfordista contemporanea essa invece è diffusa ovunque nella moltitudine  esterna alla fabbrica come intellettualità di massa ed è una forza produttiva separata dal controllo disciplinare del capitale. 

La conoscenza non è più solo mezzo per produrre ricchezza sotto forma di merci, ma è una produzione antropogenetica, che produce forme di vita, ossia produce conoscenze e relazioni sociali, la vita stessa, ed è in sé per sé creatrice di valore.
Il capitale per valorizzarsi , per estrarre il plusvalore, deve gestire una moltitudine ed una conoscenza che non è possibile disciplinare nella fabbrica e tanto meno con dottrine neoliberiste.
Casella di testo: Deregulation e regime dei valori fluttuanti.


La ripartizione della ricchezza che lo Stato-piano keynesiano garantiva,  dopo vari decenni non ha retto alla dinamica fondamentale del sistema produttivo, ai processi legati alla massificazione della forza lavoro e alla caduta del saggio di profitto.
La sempre più accentuata massificazione della forza lavoro ha determinato nuovi bisogni e richieste dell’operaio-massa, non più gestibili dallo Stato. Lo stato  non è più riuscito a garantire, tramite una politica riformista, la stabilità della legge del valore del lavoro e le proporzioni determinate fra lavoro necessario e pluslavoro, le quote della ripartizione della ricchezza prodotta.

Con lo sganciamento del valore del lavoro dal valore di scambio, e con la conseguente riduzione del ruolo dello Stato, il profitto e i livelli salariali vengano determinati ora essenzialmente dal comando di impresa, all’interno della fabbrica.
Alle lotte dell’operaio-massa e alle rivolte che disconoscono l’autorità e la  fondatezza della regola produttiva, alla  deregulation del rapporto sociale, si oppone la deregulation capitalistica che disconosce la fondatezza del rapporto di valore, con la conseguenza che è ora il comando all’interno dell’impresa a stabilire il valore del lavoro.
Siamo di fronte alla produzione di merci e mezzo di comando.

A livello internazionale all’inizio degli anni Settanta il presidente americano Nixon scollegò il valore del dollaro alle riserve auree.
Il capitalismo americano assunse un ruolo assolutistico nell’economia mondiale sottraendosi agli accordi di Bretton Woods del 1944. L’economia americana da quella data si resse essenzialmente sulla forza. 
Il debito americano può crescere indefinitivamente perché il debitore è più forte militarmente del creditore e gli Usa fanno pagare al mondo  il potenziamento del loro arsenale militare per minacciare poi il mondo stesso, imponendo regole arbitrarie al settore economico e sociale.
Il neoliberismo segna la fine della regola del valore e ne fa una politica economica.

Ma come si stabilisce un punto di riferimento in un regime di aleatorietà dei valori fluttuanti ?
Si stabilisce con la violenza, la menzogna, la forza del più forte.
Il regime dei valori fluttuanti è il dominio del cinismo e della mistificazione presente nei discorsi pubblici e nella politica.

Con il passaggio tendenziale alla produzione biopolitica all’inizio del terzo millennio il capitale opera un altro salto.
La diminuzione in termini assoluti della manodopera nel settore industriale e la necessità di aumentare enormemente la quantità di capitale costante per estrarre il plusvalore, hanno determinato lo spostamento tendenziale della produzione a settori più remunerativi, come il settore biopolitico.
La fabbrica come era organizzata fino agli anni Settanta ha subito cambiamenti irreversibili, in molti casi con l’introduzione di processi produttivi computerizzati in grado di abbassare da un lato il valore del capitale costante e risollevare il saggio di profitto, dall’altro con la diminuzione quantitativa della forza lavoro, la sua precarizzazione e la diversa dislocazione territoriale.
La linea di tendenza della produzione postmoderna, immateriale e biopolitica, è sinonimo della realizzazione del profitto dalla vita sociale stessa, da ciò che gli individui producono nel loro essere sociale: il capitale si impadronisce dei codici del sapere, delle forme di socialità, entra in settori caratterizzati da una primaria presenza di forza-lavoro, di vita,  rispetto alla fabbrica tradizionale.

I miti del comando di impresa, dell’indipendenza e dell’autoimprenditorialità degli anni Ottanta e Novanta hanno fatto sorgere forme di dipendenza lavorativa frammentaria ed incerta, spesso connesse a malesseri sociali legati ad insicurezza del reddito e dipendenza ininterrotta, seppur precaria.

L’aleatorietà dei valori fluttuanti è all’origine della precarizzazione che agisce in profondità nel tessuto sociale, sulle forme linguistiche, sulle relazioni sociali ed espressive delle nuove generazioni che cercano rientrare nel mercato del lavoro.

Nell’era biopolitica, nell’economia globale, un flusso di lavoro immateriale frattalizzato  e ricombinato circola nella rete produttiva mondiale come fattore valorizzante universale, ma con un  valore spesso indeterminabile in base alle unità di misura tradizionali.

Il lavoro precario, quello a tempo indeterminato, la socialità, le scoperte scientifiche, è preso, diviso, smembrato, incanalato in più settori, ricombinato nella rete e rivenduto.
Il tempo di lavoro è scollegato dalla persona fisica che si trova a produrre in una condizione di apparente libertà.
La diffusione delle tecnologie digitali apre al strada alla produzione immateriale e ciò svincola il valore dal tempo di lavoro ed il potere dalle regole che la classe operaia gli aveva imposto nell’epoca  in cui la produzione si basava sulla dimensione territoriale della fabbrica.
Molte regole democratiche e leggi di assistenza e giustizia sociale, ancora oggi in vigore, vennero approvate in Europa e in quegli stati dove vi fu una pressione delle classi lavoratrici in grado di limitare il potere selvaggio del capitale.  
In quelle nazioni gli ordinamenti legislativi liberal-borghesi recepirono le istanze delle classi lavoratrici tradizionali che erano legate ad una produzione organizzata su base territoriale, sulla fabbrica.

L’odierna deterritorializzazione del mercato del lavoro pone le condizioni di una dittatura assoluta del capitale connessa a  forme di delocalizzazione e schiavismo.
Gli stati che stanno entrando rapidamente nella produzione globale sono spesso caratterizzati da carenze nella  legislazione sociale, dall’assenza di libertà politiche e sindacali, da fenomeni di capitalismo selvaggio, precariato e quant’altro è espressione di uno sfruttamento illimitato dell’uomo e dell’ambiente.
Potenza contro potere - Libertà contro comando - Valore d'uso contro valore di scambio